Caltanissetta,
dall’antico splendore, al decoro moderno Caltanissetta sorge
lungo le pendici meridionali del monte San Giuliano ed è il
capoluogo di provincia di un territorio, quello nisseno, che in
passato ha visto alternarsi fasi di grande splendore economico e
commerciale e di decadenza.
Per la visita della città si può iniziare da piazza Garibaldi,
sulla quale si affaccia la Cattedrale, conosciuta perlopiù con
il nome di Santa Maria la Nuova e costruita fra il 1570 e il
1622.
Gli affreschi settecenteschi di Guglielmo Borremans coprono la
volta della navata centrale: si tratta di uno dei più importanti
cicli pittorici dell’Italia del Sud, tornato all’originario
splendore grazie al restauro completato nel 2002.
Lo stesso anno ha visto anche la riapertura del Museo Diocesano,
dov’è esposta una collezione di statue, dipinti eparamenti sacri
dal XVI al XIX secolo.
Molto ricco è l’interno della chiesa di Sant’Agata, la cui
facciata barocca, intonacata in un caldo colore arancio, si erge
sulla scalinata che domina la prospettiva di corso Umberto I.
Edificata agli inizi del XVII secolo, ha una pianta a croce
greca e presenta interni decorati con stucchi e marmi policromi,
oltre a conservare un ricchissimo altare del transetto sinistro,
con una grande pala marmorea di Ignazio Marabitti. Nelle
vicinanze, dietro il Municipio, è l’incompiuto seicentesco
palazzo Moncada.
Una visita al Museo Archeologico permette di osservare i reperti
provenienti anche dai vicini siti di Capodarso e Sabucina, dove
gli scavi hanno riportato alla luce i resti di insediamenti
risalenti all’età del Bronzo. Da via San Domenico, la ripida
salita di via degli Angeli conduce al Castello di Pietrossa.
Fondato dagli Arabi ma rifatto dai Normanni e distrutto dal
terremoto del 1567, offre un bel panorama sulla città e sul
territorio circostante fino alla valle del Salso.
Una terra di solfatare L’area solfifera, che si estende dalla
zona di Caltanissetta fino ai dolci rilievi dell’Agrigentino, si
presenta come un territorio di colline brulle e giallastre
(tranne in primavera, quando il grano le tinge di verde
intenso), dove le fitte macchie dei rimboschimenti non sono
ancora riuscite ad occultare completamente il paesaggio delle
miniere di zolfo abbandonate, fatto di montagne desolate, forata
da pozzi e gallerie. Un itinerario ideale è quello che dal
capoluogo tocca San Cataldo, Milena, Mussomeli e Marianopoli,
chiudendosi poi nuovamente su Caltanissetta. Lungo il tragitto
si toccano località minerarie che vissero l’illusione del
benessere derivante dallo zolfo, borghi a carattere
agricolo-minerario che portano i segni di una storia amara e
villaggi in cui, invece, si conserva un’atmosfera genuina di
vita rurale.
La vicenda dello zolfo si colloca nel XIX secolo, quando le
nascenti industrie francesi e inglesi ne formularono la
richiesta per la produzione di acido solforico. In breve tempo
le solfatare della Sicilia centrale si moltiplicarono; nel 1834,
delle 196 siciliane 88 ricadevano nel territorio di
Caltanissetta. Nella seconda metà dell’800 la Sicilia puntò
sull’affare dello zolfo, che si protrasse fino alla fine di quel
secolo, quando entrò sul mercato, con prezzi concorrenziali, lo
zolfo americano.
La crisi fu inevitabile e a poco servì l’istituzione, negli anni
del secondo dopoguerra, dell’Ente Minerario Siciliano. Nel
territorio di Caltanissetta è possibile visitare diverse miniere
dove, addentrandosi nelle ‘discendiere’, gli stretti corridoi
lungo i quali lo zolfo veniva trasportato a spalla, e nei ‘calcaroni’,
le fornaci in muratura in cui il minerale veniva bruciato. Nel
capoluogo sono gli impianti delle miniere Gessolungo, Trabonella
e Tuminelli; a pochi chilometri dal centro abitato di Delia, è
la storica solfatara Saponaro; nell’area mineraria tra San
Cataldo e Serradifalco, ci sono invece le miniere San Cataldo,
Pozzo Palo e Bosco. |