Il primo
nucleo abitativo di Raddusa risiedeva nel Fondaco delle
Canne, una contrada a sud del paese, lambita dalle acque
del fiume Secco. Qui, in epoca spagnola, esisteva un
fondaco che fungeva da albergo e stazione di cambio per i
viaggiatori, che, percorrendo la regia trazzera, si
recavano a Palermo. In questo casale esisteva anche una
cappella intitolata alla Madonna delle Grazie, sorta quasi
certamente nel 1682. A circa un chilometro sorgeva il
castello del feudatario. Quando nel 1810, per volere di
Francesco Paternò, sorse il paese di Raddusa il fondaco
delle canne fu abbandonato ed i contadini si trasferirono
nel nuovo abitato. Al fine di potere agevolare la
colonizzazione e procurarsi così manodopera da impiegare
nelle miniere di zolfo e nei terreni incolti, il marchese
concesse in enfiteusi alcuni terreni a colore che
decidevano di trasferirsi nei suoi fondi. Nel 1820 la
nuova comunità fu aggregata amministrativamente al comune
di Ramacca. Con il passare degli anni, però, il modesto
villaggio, grazie soprattutto alla sua florida industria
zolfiera, cominciò a svilupparsi e ad aumentare la sua
popolazione, tanto che molti ritennero che fosse giunto il
momento di separarsi da Ramacca e rivendicare una
amministrazione autonoma. La battaglia per ottenere tale
separazione non fu facile e durò almeno un decennio per
l'opposizione tenace di Ramacca, ma nel gennaio del 1860,
con decreto reale, Raddusa fu elevato a comune autonomo.
Le attività di Raddusa, sin dalla sua nascita, furono due:
l'industria dell'estrazione dello zolfo e la coltivazione
del grano. A partire dal primo decennio del 1900 le
miniere siciliane, e quindi anche quelle di Raddusa,
iniziano un lento ma inesorabile declino, lasciando quindi
all'attività cerealicola la rappresentazione del filo di
continuità delle generazioni raddusane.
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