"Aragona"
le origini e la sua storia
Una relazione manoscritta del ‘700 , dell’Arciprete
Agatino Giacco così descrive il paese:
<< Nel Val di Mazzara, dentro la Diocesi, Comarchia, e
territorio di Girgenti, nelle spalle di un monte
mediocremente inclinato, e nell’estremità meridionale del
Feudo di Diesi, giace Aragona a dirimpetto del sole
nascente, terra molto popolata ed amena. Circondata da
innumerevoli alberi d’ogni sorta, che le danno un vago e
dilettevole aspetto. Dista dalla Marina ed Emporio di
Girgenti duodeci miglia, otto dalla Città; e sessanta
verso tramontana da Palermo.
L’aria è ventilata, sottile e molto sana; il vento greco,
quando nell’inverno costantemente soffia, reca gran
molestia agli abitanti ed i morbi acuti, e specialmente le
pleuritidi facilmente si aggravano; i convalescenti presto
si ristabiliscono: sempre si trovano parecchi che avanzano
i novant’anni dell’età loro, molti che contano sopra
sessanta.
La popolazione si numera da circa seimila e seicento
persone in fochi 1936.La sobrietà del vitto e pasto si
osserva dalla maggior parte. L’indole dei paesani è per lo
più impaziente, contenziosa, svogliata alle serie e lunghe
applicazioni, e però sono pochi quelli, che
riescono alle ardue imprese ed alle lunghe fatiche >>.
Le origini e la storia di Aragona sono strettamente legate
al feudo Diesi e alla famiglia Naselli che venne in
possesso del feudo il 6 ottobre 1499 in seguito al
matrimonio di Baldassare I Naselli, barone di
Comiso e Isabella Montaperto, la quale portava in dote i
feudi Diesi, Brucali e Macaluba. I Naselli hanno avuto la
loro origine nella Lombardia e furono potentissimi nella
città di Milano. Perriconio Naselli passò in Sicilia sotto
il Re Federico II nel 1298, il quale in ricompensa per i
servigi militari ebbe dal re alcuni feudi nel territorio
di Butera ed entrò a far parte della nobiltà
siciliana.Aragona fu edificata con i criteri urbanistici
tipici dell’epoca che comprendevano una geometria di
maglie viarie regolari delimitanti ampi isolati,
all’interno dei quali si sviluppavano un po’
disordinatamente vicoli, abitazioni asimmetriche con
cortili e scale. Ma questa piccola confusione urbanistica
era ancora a "misura d’uomo" se confrontata con le
successive ondate edilizie che hanno riempito di case
nuove intere zone del paese mutandone in parte il contesto
storico-ambientale.
Fu fondata nel 1606 daL Baldassarre Naselli nel feudo
Diesi dove già esisteva un piccolo insediamento urbano. La
"licentia populandi" per costruire il paese di Aragona era
stata concessa inizialmente da Carlo V a Gaspare Naselli
che fu barone del feudo Diesi dal 1549 al 1555, ma per la
brevità della sua vita
quest’ultimo non riuscì a portare a termine la costruzione
del paese.
Naselli, marito di Donna Beatrice Aragona Branciforte,
cercò di completare la costruzione del paese senza
riuscirvi.Il nuovo centro abitato fu definitivamente
costruito dal figlio Baldassarre Naselli che il 7gennaio
1606 ottenne dal viceré Lorenzo Suarez la "licentia
populandi", confermata poi dal re Filippo II il 31
dicembre 1606.
Nacque così il nuovo centro abitato che prese il nome
della madre del suo fondatore (Donna Beatrice Aragona
Branciforte) e si sviluppò in sintonia con la famiglia
Naselli. Per le sue origini Aragona fu un paese baronale
amministrato totalmente dai baroni Naselli che, oltre ad
imporre gabe1le, esercitarono anche il potere civile e
penale avendo comprato il mero e misto impero nel giugno
del 1606. Le prime notizie del feudo Diesi in cui sorge
Aragona si hanno alla fine del secolo XIV allorché
risultava iscritto nei registri dei Baroni di Federico Il
sotto il nome di Casale Diesi. Nei primi decenni del 1300
appartenne a Mariano Capace che lo vendette a Nicolò
Abate.
Questi a sua volta, nel settembre del 1372, lo vendette a
Rinoldo Bonito che ne fu spodestato per la sua ribellione
al re Martino e passò a Raimondo Montecatino. Il feudo
passò quindi a Guglielmo Ventimiglia, il 2 Luglio 1395, e
dopo 22 anni pervenne ad Antonio Bonito.
Alla sua morte il feudo passo alla figlia Margaritella,
dalla quale nacquero Pietro Antonio, morto nel 1516 senza
eredi, e Isabella che il 6 ottobre 1499 sposò Baldassarre
Naselli portandovi in dote il feudo Casale Diesi.
Con questo matrimonio il feudo a cui è legata l’origine di
Aragona, passò ai baroni Naselli che lo conservarono fino
all’estinzione del ramo maschile della loro famiglia nel
1862.
Filippo IV elevò la baronia di Aragona e delle sue terre a
Principato nel 1625, mentre era signore di Aragona Luigi
Naselli, viceré degli Abruzzi. L’ultimo erede diretto dei
Naselli fu Baldassarre morto nel 1862 senza figli per cui
il titolo e l’eredità passarono a suo nipote Sac.
Luigi Burgio Naselli che nel 1877, dopo il fallimento
delle miniere di zolfo, diede i beni ancora in possesso
alle Suore di carità di S. Vincenzo di Paola. Per più di
due secoli e mezzo dalle sue origini, Aragona crebbe e si
sviluppò legando le sue vicende a quelle dei baroni
Naselli divenuti Principi.
Durante il periodo risorgimentale il paese, però, ebbe un
risveglio sociale partecipando agli avvenimenti regionali
e nazionali anche se in modo limitato.
Nel 1848 Giuseppe Guerrera portò ad Aragona da Palermo il
proclama redatto da Francesco Bagnasco e, scritto a mano
in diverse copie fu distribuito alla popolazione. Molti
sacerdoti aragonesi stimolati dall’atteggiamento
favorevole del vescovo Mons. Loiacono manifestarono
nell’occasione le loro idee patriottiche incitando alla
rivoluzione. I fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto,
animatori del
movimento, appresa la notizia dell’insurrezione di Palermo
inalberarono il vessillo tricolore nella Chiesa del
Rosario, mentre una gran folla si accalcava in piazza
gridando viva Pio IX, viva la rivoluzione.
Fu costituita la guardia nazionale alla quale aderirono,
oltre ai fratelli Di Benedetto, anche
Giuseppe Guerrera, Don Antonio Magiordomo, il Dott.
Alfonso Calleja e il Barone Antonio Rotulo. A presiedere
il Comune fu nominato Antonio Magiordomo mentre
Baldassarre Naselli veniva nominato rappresentante del
parlamento generale di Sicilia.
Fallita la rivoluzione, tornarono i Borboni ed ebbero
inizio le persecuzioni. I fratelli Di Benedetto furono
messi in carcere per 11 mesi mentre la loro famiglia fu
sottoposta a continue vessazioni. Nel maggio del 1860,
allorché ad Aragona giunse l’eco dell’impresa di
Garibaldi, si costituì un nuovo magistrato
municipale presieduto da Antonio Morreale.
I fratelli Giulio e Salvatore Di Benedetto assieme al
fratello più piccolo Settimo si arruolarono nell’esercito
garibaldino e parteciparono alla battaglia di Volturno. Si
distinsero per il loro comportamento ottenendo molti
riconoscimenti.
Il 29 maggio 1860 ad Aragona venne organizzata una sfilata
di tutti i cittadini che si concluse in piazza Madre nella
cui Chiesa venne cantato un Te Deum alla presenza del
clero aragonese.
Il 6 giugno il magistrato comunale aragonese inviò un
messaggio a Garibaldi con il quale il Comune aderiva a che
egli assumesse la dittatura dell’Isola in nome di Vittorio
Emanuele II e venisse proclamata l’annessione della
Sicilia al Regno d’Italia.
Ben presto però, vennero le delusioni nel
paese specialmente quando si dovettero incominciare a
pagare le tasse tanto che per intimorire la popolazione fu
inviata la milizia. Alla fine del secolo scorso, nel 1890
ad Aragona vi era una guarnigione di 25 soldati comandati
da un tenente.
La loro presenza si inserisce nel quadro dei fasci dei
lavoratori e degli scioperi che c’erano stati ad Aragona.
Il 20 novembre del 1890 c’era stata addirittura una
sommossa con il tentativo di incendio del Circolo dei
civili e nel 1893 e 1894 continuarono gli scioperi.
Negli anni successivi la vita aragonese è
segnata dalla partecipazione agli eventi bellici e dai
mutamenti sociali legati alle miniere di zolfo, alle
trasformazioni agricole e all’emigrazione. Il movimento
operaio, prima e dopo le due guerre, favorito
dall’aggregazione derivante dalla presenza delle miniere e
spinto dalle condizioni economiche e sociali alquanto
insopportabili, fu molto attivo e con una serie di
scioperi e di rivendicazioni economiche ottenne sensibili
miglioramenti e svolse un
ruolo attivo nella politica sociale.
Dal 1900 circa un gruppo di miniere site nel territorio di
Aragona in contrada MINTINI si consorziarono fra di loro
in modo da formare un complesso industriale. Verso la fine
dell’ottocento in tale gruppo di miniere operò Stefano
Pirandello sia come commerciante
sia come produttore di zolfo attraverso un contratto di
gabella che stipulò con il principe di Aragona.
La miniera Taccia-Caci fu fonte di notevole guadagno per
la famiglia Pirandello, ma anche causa del dissesto
finanziario che compromise la salute mentale della moglie
dello scrittore Donna Antonietta Portolano, e che ritorna
variamente nelle sue opere, determinando che la vocazione
alla letteratura diventi scelta obbligata, il mezzo per
procurarsi da vivere e far quadrare il bilancio familiare.
Alla fine dell’800 per opera del Sac. Vincenzo Gandolfo
venne fondata la Cassa Rurale per aiutare i contadini con
prestiti al tasso dell’8,5%. Nel 1901 un convegno
interdiocesano stabilì che la Cassa Rurale doveva
esclusivamente servire ad agevolare il piccolo credito
agricolo.
L’ultimo conflitto bellico coinvolse direttamente il
centro urbano; anche se in modo marginale e per qualche
episodio sporadico.
Aragona, infatti, fu sede di distaccamenti del decimo
reggimento bersaglieri e del cinquantottesimo fanteria per
cui durante l’avanzata dell’esercito anglo americano si
ebbero dei combattimenti nella località di "Passu Funnutu"
e alcuni bombardamenti nel centro urbano di limitata
importanza per la scarsa resistenza opposta all’avanzata
nemica.
I soldati erano ospitati nella Chiesa sconsacrata del
Purgatorio mentre il quartier generale si trovava nella
palazzina Carruba, in periferia del paese. La Chiesa del
Purgatorio venne adibita a magazzino del genio militare
mentre la polveriera venne dislocata nei pressi del
cimitero; in contrada Quattro Strade venne istituito un
altro deposito.
Durante l’avanzata dell’esercito anglo americano i
depositi dell’esercito italiano furono assaliti e
saccheggiati da gruppi di persone spinti dalla fame e
dalla mancanza di generi di prima necessità. Gli anni
della ricostruzione e dello sviluppo industriale nazionale
si caratterizzano
ad Aragona per le lotte e le rivendicazioni degli zolfatai
fino alla chiusura delle miniere e per l’emigrazione che
ha ridotto la crescita del paese e il suo sviluppo
economico.
L’agricoltura ha in parte cambiato volto e si è
modernizzata ma si è invecchiata nella sua componente
lavorativa, preferendo le nuove generazioni un lavoro
nell’industria, l’impiego o
l’emigrazione all’attività agricola, che da sempre è la
principale attività del paese.
Come in tutte le terre toccate in modo massiccio dal
fenomeno dell’emigrazione, lo sviluppo edilizio
disordinato è stato alimentato dall’esigenza/desiderio
dell’emigrato di investire i suoi
risparmi in una casa in "paese", luogo mitico del
‘ritorno" e del "possesso" come riappropriazione di
identità. Quest’entroterra agrigentino, di solito escluso
dai tradizionali itinerari turistici, offre un’ampia
varietà di condizioni ambientali e storico-culturali che,
anche se non eclatanti, costituiscono un insieme non
indifferente da offrire ad un modello di turista meno
distratto.
Nei dintorni di Aragona, esistono piccoli tesori d’arte
abbandonati o ambienti naturali quali la Torre del Salto
d’Angiò, le antiche miniere di zolfo, il grande "blob" del
Maccalube, che certamente possono affascinare il turista.
Nella Cripta sotto la chiesa del Rosario, nel 1997 è stata
allestita una mostra permanente del Tesoro della chiesa
con l’esposizione di dipinti,ori e
argenti, documenti e paramenti tra cui splendidi ostensori
e un deliziosa urna argentea per la reliquia della Sacra
Sindone. Se il Duca Santo del Gattopardo Giulio Tomasi di
Lampedusa, fondatore di Palma, aveva ottenuto dai Savoia
una Sacra Sindone, copia estratta dal vero originale di
Torino l’anno 1656, per la chiesa del Calvario e oggi
conservata presso il Collegio di Maria di Palma, nel 1684,
a sua volta,
il principe di Aragona Baldassare IV Naselli, la cui
figlia Melchiorra nel 1669 aveva sposato il figlio di
Giulio Ferdinando I Tomasi, ottenne un frammento del sacro
lenzuolo. Per questa preziosa reliquia lo stesso principe
Naselli, amante dell’arte e fine collezionista di opere di
grandi artisti, fece costruire un’urna argentea dove,
incastonata in un reliquiario a pendente, circondato da
una cornicetta con smalti neri su oro, fu conservato il
prezioso brandello della Sindone.
L’ argentiere palermitano Giacinto Amodei modellò questo
piccolo ma geniale gioiello, dove l’invenzione
architettonica delle cornici e dell’intero impianto ben si
armonizza con la presenza di eleganti figurine quali gli
angeli reggenti, richiamanti le cariatidi, o le figure
simboliche, ben collocate ad arricchire gli angoli. Il
tutto trova la sua conclusione più indovinata nella
raffinata statuetta dell’Ecce Homo piena di movimento e di
grande pathos. |